Raccoo-oo-oon

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velvet)))
CAT_IMG Posted on 23/5/2008, 21:48




http://www.raccoo-oo-oon.org/
http://www.myspace.com/raccoooooon

Noise rock psichedelico, droga.

Hanno un nome strano, vengono da Iowa City e suonano free-form punk psichedelico e krauto. Solita sfilza di cd-r, cassette e vinili alle spalle: quasi un percorso caratterizzante, nobilitante oserei dire. Farsi un po' le ossa, insomma, e poi venire allo scoperto con un disco finalmente “ufficiale”, con tanto di distribuzione più o meno decente.

“Behold Secret Kingdom” è un disco che colpisce per la maturità del suono, per l’assalto sonoro portentoso e catartico, per la capacità di mettere ordine, di sintetizzare un po’ tutte le intuizioni che la band ha via via estratto dal suo cilindro magico. E’ il solito universo disastrato e felice di esserlo. La solita rovinosa vallata di lacrime sacrosante.

Il frastuono di “Black Branches” è un biglietto da visita niente male: sezione ritmica fiera, altezzosa; chitarre che vomitano elettricità bruciante e dissonanze come nervi scoperti; guizzi di synth strafatti di acido. E’ roba che colpisce il corpo, innanzitutto. Una scorciatoia necessaria per prenderla alle spalle, l’anima. Poliritmi imbizzarriti aprono lo scenario su “Mirror Blanket”, strana danza di una morte amica e confidente. E’ un gioco anche pericoloso, e la voce salmodiante e drogata sembra saperlo bene. Tutt’intorno, eventi sonori come scarabocchi, astrazioni reiterate come in un videogame from outer space.

Un mondo oscuro ed esoterico, capace di rituali ubriachi (“Visage Of The Fox”) che evocano malsani incroci tra Boredoms, Can e Animal Collective, smarrendo ogni traccia di raziocinio in un'altra bolgia colossale. Più vicino alla forma canzone (prendete con le molle questa affermazione...), “Antler Mask” dimostra come la band sappia muoversi al confine tra “tradizione” e sperimentazione, regalandoci (meglio non esagerare con la “normalità”) una gloriosa coda di cimbali presi a mazzate e segnali interstellari. Perfetta, a metà strada e per riprendere fiato, l’improvvisazione chitarristica in sordina (tra cori fantasma e disturbi controllati) di “Diamonds In The Dunes”.

Ma l’attacco improvviso e senza soluzione di continuità di “Invisible Sun” riporta alla realtà. Così, anche una fanfara “apparente” (con svolazzi si sax nelle retrovie) finisce per bagnarsi nel fiume imperioso del disastro sonico, benedetto e perpetrato con inusitata ferocia. In coda, detriti sparsi di rumore, feedback di cristallo esploso, sovratoni come conati di vomito. E c’è, nonostante tutto, un disegno preciso dietro tutto questo. Lo avverti, pienamente, quando, il suono si risolleva, come ridestato a nuova vita, abbandonandosi ai miraggi Chrome che baluginano dietro la traversata cosmica di “Fangs and Arrows”, delirio di Gravitar, oscurità Barrett-iane e miasmi psichedelici che vagano derelitti negli anfratti dello spazio più profondo.

Chiude, epica, la marcia industriale di “Tail at Prospect Peak”, le cui proporzioni titaniche danno definitivamente il senso di un suono catastrofico e liberatorio; un suono tutt’altro che monolitico, ma carico di tensione e di espressività camaleontica.
Un buco nero che ingoia se stesso, ruttando di gusto.
 
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